Storia della pirateria by David Cordingly

Storia della pirateria by David Cordingly

autore:David Cordingly [Cordingly, David]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
ISBN: 9788852060564
editore: Mondadori
pubblicato: 2019-06-23T16:00:00+00:00


VIII

Isole e altri covi dei pirati

Verso la fine dell’estate 1692 in Inghilterra giunsero notizie di una catastrofe verificatasi in Giamaica: si affermava che Port Royal fosse stata colpita da un terremoto tanto violento che tutte le case erano state inghiottite dalla terra e gran parte della città era sprofondata nel mare. A quanto pareva, due terzi degli abitanti erano annegati o rimasti sepolti sotto il legname e le macerie, e le tombe nel cimitero sommerso si erano aperte, cosicché i cadaveri galleggiavano fuori e dentro il porto. Circolavano, inoltre, racconti di marinai che usavano le barche per saccheggiare le case e strappare anelli e valori dai corpi galleggianti. Un ministro locale riferì che «una compagnia di farabutti dissoluti, che chiamano corsari, si misero a scassinare magazzini e case abbandonati, a rubare e frugare nelle case dei vicini mentre la terra tremava sotto di essi, e alcune case crollarono loro addosso; e quelle prostitute sfacciate che ciononostante rimangono sul posto, sono più sfrontate e più ubriache che mai».1 Molti pensarono che la catastrofe fosse il castigo divino per una città malvagia e impenitente, dimora di pirati e di prostitute, nonché il porto più perverso della cristianità.

Quando lettere e testimoni oculari giunsero in Gran Bretagna, si comprese che tutte le storie erano vere. Un terremoto devastante aveva colpito la Giamaica fra le undici e le dodici del 7 giugno 1692, e fatto tremare l’intera città di Port Royal. Erano seguite varie scosse di assestamento e la terra si era spostata con una serie di movimenti ondulatori, a causa dei quali la sabbia delle strade non pavimentate si era sollevata e abbassata a mo’ di onda. Gli edifici di mattoni e di pietra, compresa la chiesa, erano crollati, e la banchina accanto al porto, insieme a due strade con case e negozi, era scivolata in mare. A ciò era seguita un’onda di maremoto che aveva allagato la città. «Non si vedevano altro che morti e moribondi, e non si udivano che urla e pianti».2 Quel giorno morirono più di duemila persone, e un numero altrettanto alto perì per le ferite o per le malattie. I sopravvissuti erano così pochi che i cadaveri galleggiarono a lungo in acqua, in balia delle maree, o rimasero sulle rocce e sulle spiagge, là dove le onde li avevano gettati. John Pike, un falegname, scrisse al fratello dicendogli che la casa era stata sommersa dal mare. «Ho perso mia moglie, mio figlio, un apprendista, una cameriera bianca e sei schiavi, e tutto ciò che avevo al mondo. La mia terra, sulla quale ero pronto a erigere cinque case, e dove c’era spazio per altre dieci, è completamente sommersa, e un buon sloop potrebbe navigarvi sopra …».3

La città devastata dal terremoto era uno dei porti più ricchi e attivi delle Americhe. Gli inglesi, che avevano conquistato la Giamaica sconfiggendo gli spagnoli nel 1655, costruirono un forte all’estremità della sottile striscia di terra che abbraccia le acque azzurre dei Caraibi, sulla costa meridionale dell’isola. La lingua di terra formava un ampio porto naturale, e il forte si trovava in posizione strategica contro eventuali attacchi.



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